Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo, che c’è un po’ della vita mia; è mio marito….
La maestra Angiolina e i Truschi
Una notte, Clelia non trova un pezzo di carta in tutta la casa. Di colpo la memoria le restituisce il volto della maestra elementare: “La mia maestra Angiolina Martina mi aveva spiegato che i Truschi avevano avvolto un morto in un pezzo di stoffa scritto. Ho pensato se l’hanno fatto loro, lo posso fare anch’io.”
Apre l’armadio e prende un lenzuolo bianco del corredo, di una dote che non serve più. Lo poggia su un cuscino e adagia il cuscino sulle ginocchia. Incolla sulla sinistra la foto del marito, sulla destra la sua e al centro il sacro cuore di Gesù.
Gnanca na busia
Di getto, incomincia a scrivere, notte dopo notte, la storia della sua vita, solo verità e “Gnanca na busia”.
La storia della sua vita in un lenzuolo del corredo, largo più di due metri. Riga per riga racconta il lavoro nei campi e il grande amore per il suo Anteo: “Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere”…le righe del lenzuolo numerate una ad una per non perdere il filo leggendo.
Sonni, sogni, amori, solitudini
Scrivere la propria vita su un lenzuolo, quello che ha avvolto i nostri sonni, i sogni, gli amori, le solitudini tormentose. Scriverla la vita, con una minuzia di segni, estrema pazienza, la stessa del tempo che incide le rughe su un volto. (A. Bevilacqua)
Ed è così che quel lenzuolo a due piazze fitto fitto d’una scrittura rotonda e un po’ insicura arriva in Toscana.
In treno e poi in corriera
Clelia Marchi arriva a Pieve Santo Stefano un giorno d’inverno del 1986, col suo lenzuolo sotto il braccio per farne dono al giornalista Saverio Tutino. E’ venuta in treno fino ad Arezzo. E’ scesa dalla corriera, con l’aria compunta e festosa delle donne già avanti negli anni, che hanno trascorso una vita intiera senza mai uscire dal loro comune di nascita.
Un viso bello, incorniciato da una capigliatura canuta e ben pettinata, le trecce attorcigliate, gli occhi sfavillanti, l’età indefinita di una capofamiglia contadina vestita bene per una cerimonia. E da allora il suo libro-lenzuolo è forse il pezzo più esplicativo e simbolico dello spirito del paese dei diari.
Il luogo della memoria
Proprio così: c’è un posto, in Toscana, dove sono custodite le storie degli italiani: è l’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano ideato e fondato nel 1984 da Saverio Tutino. Oggi i manoscritti depositati sono oltre seimila e il loro numero cresce di anno in anno. L’Archivio è un luogo unico, nato per raccogliere e conservare i diari, le memorie e gli epistolari della gente comune.
Affresco straordinario di tante esistenze, dolori, guerra, lavoro, gioie e sofferenze, nascite e morti e lavoro duro e padroni avari, e amore e frutta e altra materia…
I diari dei non eroi
Sommessi e privi di clamore, costituiscono l’essenza più autentica della nostra memoria comune. Ed è proprio qui che potrete incontrare, stanza dopo stanza, gli abitanti di questo edificio “magico”.
Basterà avvicinarsi ad uno dei venti cassetti incastonati nella parete di legno artigianale, estrarlo e contemplarne il contenuto mentre voci narranti racconteranno una folla di esistenze comuni ma anche eccezionali. Sul bisbiglìo di sottofondo si staglieranno le parole dei protagonisti: sentirete quel “fruscìo degli altri” che Saverio Tutino, udiva levarsi dagli scaffali che andavano riempiendosi di diari, con il passare degli anni e con l’incrementarsi del patrimonio autobiografico della fondazione.
Chili e chili di ricordi
“Io mi guardo intorno e vedo stanze e corridoi riempiti da chili e chili di ricordi, raccolti in milioni di pagine, assemblate in migliaia di diari, lettere e memorie, un festival del ricordo insomma, un inno perenne alla memoria. Sono il tentativo tenace di opporre resistenza alla dimenticanza, in una battaglia impari tra poche migliaia di sopravvissuti contro milioni di esistenze di cui non sapremo mai nulla.
L’urgenza
Ciò che colpisce in quei gesti titanici – le centinaia di righe incise su un lenzuolo matrimoniale dalla vedova Clelia o la guerra ingaggiata con la macchina da scrivere da un vecchio semianalfabeta – è l’urgenza. Perché un diario è l’espressione intima e irrefrenabile dell’autore e, quasi sempre, nasce per sé e non per altri.
Quel bisogno valica ogni impedimento, che sia esso la mancanza di carta su cui scrivere (ecco perché Clelia usa il lenzuolo) o l’analfabetismo da sconfiggere a colpi di tastiera.
Comune a tutti gli autori dei diari, la paura di smemorarsi. Degli altri. E di sé” (M. Perrotta)
Strumenti per immaginare il futuro
Credo che la memoria sia importante per tutti, giovani e non, perché avere memoria significa possedere strumenti per leggere il presente. Non solo, come scrive Ascanio Celestini: se il mio mestiere è il falegname e d’improvviso dimentico come si usano gli strumenti che ho davanti, potrò ideare i mobili più eleganti e originali del mondo, ma non saprò mai come realizzarli.
Ecco, la memoria è anche questo: strumenti per immaginare un futuro.
Lungo le linee verdi dell’Appennino
Nelle righe 128 e 129 del lenzuolo Clelia dice così: ” Leggetelo pure quello che c è scritto su questo: anche se è scritto male; l’ò scritto di notte come o detto; non dormo: e non che mi viene in mente tante cose della mia, ò nostra vita le scrivo; certo che per tante che ne scrivi ne rimane in dietro: ma cosa serva a scrivere se nessuno li guarda, ò li legge…” Lo sguardo viene prima della lettura. Per Clelia, di sicuro. Le parole sono materia ricamata su una trama bianca. Come una città è un disegno inciso lungo le linee verdi dell’Appennino.
La neve e il cuore
Sembra di arrivare così al punto luminoso in cui comincia la scrittura.
Così, nasce in me il bisogno profondo, la voglia di non smemorarmi, ricordarsi di qualcuno o di qualcosa è un lusso che mi concedo quotidianamente e voi?
Perchè come scrive Clelia sul retro del lenzuolo, nell’angolo in basso:
“ho scritto il tuo nome sulla neve il vento là cancellato. Ò scritto il tuo nome sul mio cuore lì si è fermato”