Ieri nel giardino di Annita, ho visto un fiore di soffione. Non è un fiore in realtà, il fiore di Tarassaco o Dente di Leone era lì, qualche mese fa, un magnifico, solare fiore giallo, innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio. Da poco si è trasformato in una lunare sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini che se ne stanno stretti stretti al centro del…soffione.
E allora vi racconterò
una fiaba mai raccontata, che è la favola della vita così come ce la tramanda il Dente di Leone.
“In un verdissimo prato contornato da tante chiazze colorate viveva una pianta con tanti grossi fiori gialli, insieme a tante altre sue gemelle. La piantina attirava in primavera tantissimi insetti per impollinare i suoi fiori, e li vedeva trasformare in tanti piccoli semi, che planavano nell’aria con l’aiuto del vento, grazie ai lunghi filamenti bianchi posti come dei raggi di sole sulla testa del loro esile corpo.
In un giorno come tanti altri
quando ormai la stagione era matura e tutto pronto per l’addio dei semi dalla madre pianta, uno di questi nel vedere dalle altre piante il volar via degli altri semi di soffioni esclamò «Mamma perché dobbiamo andarcene?».
«È così che le cose sono sempre andate e così devono andare» gli spiegò la madre, cercando di fargli accettare quanto stava succedendo. «Io non voglio lasciarti qui tutta sola, mamma, come sta accadendo per le altre piante» replicò il piccolo seme alla madre
«Non è giusto» continuò
«Figlio mio anche io prima di te sono stata un seme e ho dovuto lasciare mia madre e tutti i miei fratelli, solo così il mondo può proseguire» aggiunse la madre. Il piccolo seme però non ne voleva sapere di ascoltare la madre, convinto dell’ingiustizia di quanto stava accadendo. Così, non appena il vento autunnale iniziò a soffiare sempre più forte, lui rimase lì stretto stretto a colei che lo aveva generato.
«Non vado via mamma… io no!»
disse mentre i fratelli pian piano prendevano il volo, verso quella che sarebbe stata la loro nuova vita, in un futuro ancora incerto. Una ventata ancor più potente si portò via in un attimo un intero ramo, tutti in una volta quei semi iniziarono il loro solitario viaggio, ma lui era ancora lì, attaccato con tutte le sue forze. Così uno a uno i fratelli del seme, compagni in quella breve vita, senza fare alcuna resistenza andarono via; era rimasto solo lui.
In un istante d’apparente quiete
un soffio di vento lo prese alla sprovvista e anche lui si allontanò dalla pianta. «Nooo…» gridò inutilmente il piccolo seme, ma ormai la madre non poteva più ascoltarlo. Era da solo, sospeso in aria a volteggiare da una parte e da un’altra, in balia del vento. Vedeva alcuni dei suoi fratelli che lo accompagnavano in questo viaggio e altri invece che si fermavano in qualche posto.
Superata la prima iniziale paura
il seme iniziò a guardarsi intorno: il prato che conosceva e dove era nato non c’era più, ma ora vedeva cose che mai aveva visto prima. «È stupendo» esclamò quando vide un azzurro fiume pieno di pesci che vi nuotavano dentro. «Fantastico…» disse alla vista di immense montagne con le cime completamente innevate.
La meraviglia del seme non trovò fine
non immaginava di trovarsi davanti a tante belle cose, lui che prima aveva conosciuto solo quel prato che ora gli sembrava così piccolo e pallido di fronte alle bellezze naturali che nemmeno immaginava che esistessero. Valli, pianure, laghi, boschi gli si presentavano innanzi.
Planò leggero leggero
Quando poi il vento, che l’aveva sospinto in quel suo viaggio alla scoperta del mondo, si placò, il piccolo seme planò leggero leggero verso il basso in una immensa distesa dove solo il nulla gli faceva compagnia; ancora non sapeva che lì avrebbe passato il resto della sua vita. Giunto sulla terra si adagiò in una insenatura e passarono giorni, settimane, mesi, con l’alternarsi del sole e della luna, del giorno e della notte.
Poi fitte piogge si fecero sempre meno intense
le giornate diventavano sempre più lunghe e là dove si era posato il seme fece la sua comparsa una verde gemma. La primavera stava arrivando nuovamente e ciò che una volta era un seme divenne dapprima germoglio e poi una pianta ricoperta di tanti bei fiori gialli, così il piccolo seme di soffione capì di far parte del circolo della vita e che anche lui avrebbe generato altri suoi simili per consentire il continuo rigenerarsi del mondo. (fonte http://www.tiraccontounafiaba.it/ Scritto da Alessio Sgrò)
Un fiore fragile ed etereo
Vita e morte di un fiore fragile ed etereo, piccolo e apparentemente insignificante, ma protagonista di un destino vitale comune a tutti i viventi, il “Soffione”, ha una simbologia particolare legata ai temi del viaggo e del distacco.
E’ un fiore che spunta in ogni mese dell’anno e in ogni parte del mondo: sui bordi delle strade, in campagna o nelle alture…un vero e proprio simbolo di vita costantemente sotto i nostri occhi. Genera dei semi che prima o poi volano via, in cerca di un terreno fertile dove crescere. I piccoli semi alati compiono un viaggio pieno di sfide e di sorprese, nel quale imparano a lasciarsi andare al flusso della vita, prima con esitazione, e poi sempre più affascinati dalle meraviglie del viaggio.
Un seme titubante
Ogni seme diventerà un fiore, incoraggiando alla vita un nuovo seme titubante, pauroso del distacco. Il tarassaco si soffia e – in un certo senso – soffiando aiutiamo la dispersione del seme che costruirà un suo futuro; quel seme che un giorno diventerà un bocciolo verde, un largo fiore giallo, un altro soffione.
Il piccolo etereo cappuccio
Il suo può essere considerato un “dramma” come scrive Emily Dickinson, costretto a lasciar andare i suoi semi nel vento, a distaccarsi da essi, e questi, a loro volta, a lasciarsi andare a una nuova avventura
It’ʹs little Ether Hood
Doth sit upon it’ʹs Head
The millinery supple
Of the sagacious God
Till when it slip away
A nothing at a time
And Dandelion’ʹs Drama
Expires in a stem.
Il piccolo Etereo Cappuccio
Poggiato sulla Testa
Modisteria flessibile
Di un Dio sagace
Fin quando scivola via
Un nulla alla volta
E il Dramma del Soffione
Si estingue in uno stelo.
Lo stesso accade nella nostra vita: solo distaccandoci – nostro malgrado – dal “nostro fiore”, possiamo cercare un terreno fertile sul quale attecchire e conquistare l’autonomia. E poi, come un grande soffione, a nostra volta, perderemo continuamente tanti semi, ma ognuno di essi conquisterà la sua libertà e la sua realizzazione.
E allora
Che i vostri sogni possano trasformarsi nel volo di un candido soffione.
Che quei puri pensieri possano divenire morbidi come piccole stelle di cotone, come bianche nuvole autunnali.
E che il vento possa disperderli nell’aria, danzanti e leggeri.
Là, dove potranno sbocciare come profumati boccioli a primavera
e davvero che ogni vostro desiderio si liberi nel cielo e diventi vero.